Immaginiamo un pellegrino che durante una estate negli anni Trenta del Cinquecento si fosse avventurato in quelle contrade. Egli non avrebbe resistito al fascino dei luoghi. Avrebbe sentito l’impulso, fisico e spirituale, di immergersi in quella natura, di conquistare ogni particolare del rigoglioso paesaggio, sull’ultimo clivo del Monte Maggiore. Radi edifici occhieggiavano tra i cipressi, come punti salienti nel geometrico equilibrio dei terreni; terrazzamenti disegnati da filari di viti e olivi, prese di terra coperte di spighe in attesa della falce, frutteti dai variegati colori, boschi di faggi e querciole che, ricchi di stipe e ginestre, risalivano incontaminati i pendii.
Il costo della libertà nei conti di alcuni personaggi (di Francesco Ammannati)
La notizia era delle più terribili: l’esercito di spagnoli, guidati dal Viceré di Napoli e da Giovanni de’ Medici, era in arrivo da Bologna attraverso gli Appennini. Da Firenze, verso la fine di luglio, la Signoria si rivolse a Battista Guicciardini, il potestà di...