Sant’Anna, la peste, il sacco  e i frati agostiniani

(di Giampiero Nigro)

Immaginiamo un pellegrino che durante una estate negli anni Trenta del Cinquecento si fosse avventurato in quelle contrade. Egli non avrebbe resistito al fascino dei luoghi. Avrebbe sentito l’impulso, fisico e spirituale, di immergersi in quella natura, di conquistare ogni particolare del rigoglioso paesaggio, sull’ultimo clivo del Monte Maggiore. Radi edifici occhieggiavano tra i cipressi, come punti salienti nel geometrico equilibrio dei terreni; terrazzamenti disegnati da filari di viti e olivi, prese di terra coperte di spighe in attesa della falce, frutteti dai variegati colori, boschi di faggi e querciole che, ricchi di stipe e ginestre, risalivano incontaminati i pendii.